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Incominciai La ragazza Carla a Milano fra settembre
e ottobre del '54, erano da poco iniziate le scuole,
non ricordo se ero ancora nel vecchio "Istituto
Leonida", una scuola media privata in viale
Umbria dove avevo cominciato a insegnare nel '51,
o se era un'altra nuova in via Commenda, di cui
ora non ricordo il nome.
Ricordo che iniziai a scrivere, a mano, durante
un compito in classe di italiano che avevo assegnato
alla scolaresca, di terza media, mi pare. E l'inizio
del poemetto è rimasto proprio quell'inizio:
"Di là dal ponte della ferrovia una
trasversa di viale Ripamonti / c'è la casa
di Carla..."; e mi ricordo anche che un'allieva
impicciona, con la scusa di chiedermi qualcosa sul
suo tema, venne a sbirciare cosa stavo scrivendo:
per lei non era né una lettera d'amore, né
una poesia - come forse sospettava. E deve essere
rimasta delusa, suppongo.
Avevo già in mente buona parte della trama.
Dall'uscita delle Cronache, nella tarda
primavera dello stesso anno, ma probabilmente anche
da un anno prima, mi preoccupava il peso, che mi
pareva eccessivo, delle mie vicende personali sulla
mia poesia e m'era diventata pesante nello scrivere
la "tirannia dell'io" ; lo avevo già
avvertito nel risvolto delle Cronache,
scritto da me anche se anonimo, dove dichiaravo
quella poesia "gravata dalla troppa, ineluttabile
carità di sé e conseguente bagaglio".
Quindi per lottare contro "l'ineluttabile"
avevo deciso di comporre un poemetto narrativo,
con la sua brava terza persona, che si occupasse
di vicende contemporanee che non mi riguardassero
troppo direttamente.
Teorizzai poi tutta la faccenda nel saggetto Ragione
e funzione dei generi, uscito nel numero 9
di "Ragionamenti", nella primavera del
1957.
La premessa era quella della necessità dell'ampliamento
del linguaggio poetico, anzi direi più rigorosamente
della capacità di tutto il linguaggio, comune
e non comune, di svolgere anche la funzione poetica;
quindi lotta frontale al pregiudizio della "parola
poetica".
Cito dal saggetto: "Solo che arricchire il
vocabolario non significa necessariamente arricchire
il discorso, può voler dire anche arrecare
turbamento e confusione. Nessun vocabolo ha illimitate
capacità di adattamento (e quante più
ne ha tanto più ne è avvilito); ogni
vocabolo ha i suoi precisi problemi di sintassi,
si muove in una sua area sintattica. [...] I problemi
di sintassi investono per definizione tutto il periodo,
imprimendo una diversa tensione durata ritmo al
discorso. Ma questa designazione di tonalità
[...] appartiene ai generi. La reinvenzione dei
generi letterari cui ora si assiste non è
dunque che la necessaria conseguenza dell'ampliamento
del linguaggio poetico". (Poi, aggiungevo,
bisognerà tener conto dell'apporto dovuto
al genere in quanto tale che, se usato con consapevolezza,
significherà "reinvenzione non mera
riadozione dei generi".)
Terminavo chiedendomi: "il genere deriva dall'arricchimento
del vocabolario, ma la volontà-necessità
dell'arricchimento sociologicamente che significa:
libertà, anarchia, coralità, partecipazione
più ampia o premere di nuove classi?".
E concludevo: "forse è prematuro rispondere
ora, forse no; in ogni caso nel confronto della
produzione poetica fra le due guerre e l'attuale,
appare chiaro come oggi i poeti tendano a trasferire
nel linguaggio poetico le contraddizioni presenti
nel linguaggio di classe, mentre la poesia pre-1945
sembrava ignorarle. Strumento di questa operazione
è il genre "poemetto",
il Kind poesia didascalica e narrativa
- come il genre "capitolo" è
stato, a suo tempo, lo strumento dell'operazione
inversa, cioè di depauperamento e rarefazione
della prosa stessa".
La vicenda del poemetto, cioè la moderna
educazione sentimentale, cioè come si impara
o non si impara a crescere, ce l'avevo già
tutta o quasi: avevo scritto nel '47-'48, cioè
proprio nel tempo del racconto della Ragazza
Carla, quando ero impiegato come traduttore
dall'inglese e dattilografo in una Società
milanese di import-export, una cartella e mezzo
per un'eventuale soggetto cinematografico da proporre,
possibilmente, alla coppia De Sica-Zavattini. Un'idea
velleitaria di un ventenne.
Il soggetto non venne recapitato a nessuno e me
lo ritrovai per caso in una qualche cartella, alcuni
anni dopo, quando già pensavo alla necessità
di ridurre nei miei componimenti l'invadenza del
mio io.
E così, quando parve che decidessimo di pubblicare
il poemetto con Gianni Bosio per le Edizioni del
Gallo, alla fine degli anni Cinquanta, m'ero ripromesso
di scrivere una prefazione inserendovi il vecchio
schema del soggetto cinematografico, dicendo che
la vicenda avrebbe potuto essere raccontata in un
romanzo breve o racconto, in un film o in un poemetto;
e avrei voluto dilungarmi sui diversi pedali da
manovrare nei tre diversi casi; nel caso del poemetto
io ho usato soprattutto il pedale del ritmo, tant'è
che spesso mi è capitato di dire che l'intento
e la conseguente materia della Ragazza Carla
consistono nel ritmo di una città mitteleuropea
nell'immediato dopoguerra.
Il poemetto lo terminai il giorno di Ferragosto
del 1957. Potrei dire di averlo scritto en plein
air perchè man mano che lo scrivevo
me lo recitavo ad alta voce, misurando il verso
"secondo l'orecchio", e più ancora
perché ne leggevo via via dei brani ad alcuni
amici, sempre ad alta voce, anche per strada o meglio
nei parchi, più spesso in trattoria, anche
in vere e proprie osterie, ne ricordo una in viale
Umbria, vicino al Leonida, che non ci dev'essere
più da molto tempo, e ricordo particolarmente
quella dietro la Rinascente di piazza Duomo, vicino
alla Hoepli, detta mi pare il Bottegone, dove c'era
l'abitudine di suonare e/o cantare dopo i pasti
e forse fui io ad aggiungervi quella di recitare
versi.
Ma il ritrovo dove ci si vedeva più spesso
era la trattoria di Poldo, in via Borgospesso, dove
costituivamo un gruppetto abbastanza fisso e piuttosto
affiatato: c'era e c'è il mio Virgilio, Luciano
Amodio, guida assatanata e indistruttibile, non
solo di me medesimo (per lui conobbi i Solmi, Vittorini,
Fortini, Basso, Chiara Robertazzi, le tre sorelle
Bortolotti, Giancarlo Majorino, Michele Ranchetti,
Ettore Capriolo, Sergio Caprioglio ce se n'è
andato appena un mese fa, Antonino Tullier fra Dada
e surrealismo, scomparso già da molto tempo)
ma di tutta la giovanissima intellighenzia milanese
in quegli anni, almeno così a me pareva allora
e ne sono convinto ancora, e c'era Elvio Fachinelli,
che non c'è più da troppo tempo, Gianni
Bosio, passione e sensibilità tutt'altro
che ostentate ma sicuramente smisurate, anche lui
ci manca da troppo tempo, e meno male che posso
ricordare anche altri ben vivi, come Livio Zanetti,
Giampiero Dell'Acqua, Tonino Pitta.
Concluso il poemetto avevo il problema di pubblicarlo,
e pubblicarlo in luoghi culturalmente significativi,
ma il fatto è che mentre non avevo nessun
pudore o timore di leggere ad alta voce il testo
agli amici personali, o ad invitati degli amici,
o anche a sconosciuti che si trovassero in zona,
non sopportavo l'idea di sottoporre il poemetto
a giudizi ufficiali o ufficiosi; decisi che avrei
accettato di sottopormi solo al giudizio di Pasolini
e soltanto a lui inviai il dattiloscritto (anzi,
mi pare che glielo portai a Roma di persona): Pasolini
lo conobbi personalmente la prima volta nella primavera
del '58 in casa di Roversi, e c'era anche Leonetti,
cioè tutto lo staff di "Officina",
dove mi avevano invitato a discutere con loro della
rivista in una specie di redazione aperta.
A Pasolini il poemetto interessò e piacque,
come mi scrisse; in un altro incontro mi disse che
l'avrebbe pubbicato nella seconda serie di "Officina"
che stava rinascendo in quel periodo con l'editore
Bompiani; poi com'è noto Bompiani decise
di non proseguire con "Officina", probabilmente
a causa delle reazioni suscitate dall'epigramma
di Pasolini contro il Sommo Pontefice Pio XII.
Intanto passava il tempo e io rimanevo, ma senza
angoscia, abbastanza tranquillamente, con il mio
dattiloscritto inedito nel suo insieme; ne pubblicai
però due brani, uno piuttosto ampio sul numero
14, aprile-giugno '59, di "Nuova Corrente"
col titolo La Ragazza Carla nella fascetta
di sovracopertina e Progetti per la Ragazza
Carla nel testo, comprendente due brani assai
significativi, mi pare: I (9) e III (5) che sono
appunto nella stesura definitiva, e corrispondono
anche nelle collocazioni a quanto pubblicato sul
"Menabò 2" di Einaudi, e nelle
successive edizioni Mondadori. Sul "Verri"
di Anceschi apparve un altro brano, quello tutto
maiuscoletto che comincia "FONDAMENTO DEL DIRITTO
DELLE GENTI..." (mi sono dilungato su questi
particolari, anche futili, perché in qualche
sede, anche di notevole prestigio, si è creduto
opportuno far notare che il mio poemetto di Milano
risulterebbe posteriore a un altro poemetto su Milano
pubblicato nel '59. Ma, in ogni caso, e basi dei
miei interessi e del mio linguaggio, le avevo già
definite abbastanza compiutamente in Cronache
e altre poesie pubblicate da Schwarz nel giugno
del '54).
Poi, per grande fortuna, nell'autunno del '59 Vittorini
mandò Crovi a chiedermi di fargli avere il
testo del poemetto (ormai sapevamo in parecchi che
andavo leggendolo in giro) per il "Menabò";
Crovi glielo presentò accompagnato da una
sua relazione favorevole, Vittorini lo lesse e poi
decise con entusiasmo di pubblicarlo subito sul
secondo numero del "Menabò", febbraio
del '60. "Con entusiasmo" lo dico forse
arbitrariamente, ma penso appunto all'immediatezza
della pubblicazione, ed è un fatto che da
allora Vittorini mi dimostrò sempre molta
amicizia e interesse specifico per il mio lavoro,
mi rimproverò più di una volta la
mia pigrizia nel "darmi da fare", mi fece
vincere nel '61 o nel '62 la Borsa Cino del Duca,
di un milione di lire per progetti di lavoro, lavori
in corso di opere anche appena iniziate: e io vi
partecipai col progetto della Ballata di Rudi.
Ecco: mi ero dimenticato che anche la Ballata
di Rudi posso in un certo senso collegarla
a Vittorini. L'ho scritta tutta a Roma, nel periodo
dalla primavera del '61 all'inverno '94-'95. Nel
corso di questo intervallo di oltre trent'anni ne
ho pubblicati diversi brani: un ampio brano uscì
nel numero 18 (il penultimo) di "Quindici",
nel luglio '69; ne ricordo altri su "Nuova
Corrente" nel numero 51 del '70 e nel numero
7 di "Periodo ipotetico", ancora a luglio
ma del '73, il quale ultimo contiene già
per intero col titolo Doppio trittico di Nandi
tutte le sue parti (a, b, c e a1, b1, c1) che furono
poi ristampate in integrali e con altre varianti
ritmiche nel volumetto della Cooperativa Scrittori
intitolato Rosso Corpo Lingua Oro Pope-Papa
Scienza nel gennaio '77; la più ampia
raccolta di brani del poemetto, prima dell'edizione
completa di Marsilio nel maggio '95, apparve nella
raccolta intitolata Poesie da recita, a
cura e con intensa, acuta prefazione di Alessandra
Briganti, Bulzoni editore, 1985.
Mi pare che non ci sia altro da dire; ma voglio
segnalare una brve recensione di Stefano Crespi
apparsa sul "Sole 24 ore" del 25 giugno
'95 perché in essa facendo un confronto tra
questi miei due poemetti (o racconti-romanzi in
versi) si anticipa per così dire la prima
recensione a questa prima edizione Mondadori che
mette insieme i due testi; le recensione lascia
trasparire una preferenza sentimentale, vorrei dire,
per La Ragazza Carla con "la figura
della contraddizione tra tenerezza e ironia",
mentre nella Ballata di Rudi "la tenerezza
ironica si muta nel grottesco, nel non senso. Alla
periferia della Ragazza Carla si sostituisce
la periferia del dopo-storia, la perdita dei nomi,
dei volti...".
Perciò, conclude Crespi, tutto sommato La
Ballata di Rudi "ha un sapore difficile,
un pò agro, ma rivela un'acuta sintomaticità
dell'oggi, una moralità, l'estrema consequenzialità
di questo autore (perfino nello stesso riscontro
della sua figura umana, tra il distacco e un'amara
concentrazione). Nella radicalità di un'espressione
poetica, senza illusioni, ne esce una gamma di personaggi
tra il disagio, e il divertimento, la follia, la
terrificante ovvietà come di una spiaggia
dove non ci sono colori' ".
E certo, al tempo della Ragazza Carla non
solo l'autore coltivava "svariate idee d'amore
e di ingiustizia", ma anche tutto il nostro
Paese: non così certamente negli anni della
conclusione della Ballata, e anche prima,
anche molto prima. maggio 1997
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